GALILEU · e‑ISSN 2184‑1845 · Volume XXIV · Issue Fascículo 1‑2 · 1st January Janeiro – 31st December Dezembro 2023 · pp. 105‑120 105
Fairness procedimentale e prevenzione
patrimoniale: verso un “giusto procedimento
diprevenzione”?1
Justiça processual e prevenção patrimonial: rumo
aum“procedimento justo de prevenção”?
ANTONIO BALSAMO2
ALESSIA FUSCO3
GALILEU–REVISTA DE DIREITO E ECONOMIA · eISSN 2184‑1845
Volume XXIV · 1st January Janeiro–31ST December Dezembro 2023 · pp.105‑120
DOI: https://doi.org/10.26619/2184‑1845.XXIV.1/2.6
Submitted on April 1st, 2023 · Accepted on july 31st, 2023
Submetido em 1 de Abril, 2023 · Aceite a 31 de julho, 2023
SOMMARIO: 1. Le ragioni di interesse per il tema, a partire dalla trasformazione della
“natura” del procedimento di prevenzione patrimoniale – 2. Tassatività processuale e
ragionamento probatorio – 3. Un nuovo calcio d’inizio per la partita U.E. sulla confisca:
la proposta di una nuova direttiva – 4. NCB, istruzioni per l’uso: il documento ECCD del
Consiglio d’Europa – 5. Alcuni rilievi conclusivi.
PAROLE-CHIAVE: prevenzione patrimoniale; confisca; criminalità; cooperazione giudiziaria.
SUMÁRIO: 1. A razão do interesse pelo tema, a partir da transformação de “natureza”
do procedimento de prevenção patrimonial – 2. Taxatividade processual e raciocínio
probatório – 3. Um novo patamar de início da UE. sobre o confisco: a proposta de uma nova
directiva – 4. NCB, instruções de utilização: o documento ECCD do Conselho da Europa –
5. Algumas observações finais.
PALAVRAS-CHAVE: prevenção patrimonial; confisco; criminalidade; cooperação judiciária.
1 ¨Sebbene frutto di una riflessione congiunta dei due autori, i paragrafi 1 e 2 sono stati scritti da Antonio Balsamo,
mentre i paragrafi 3, 4 e 5 da Alessia Fusco.
2 Presidente del Tribunale di Palermo.
3 Ricercatrice a t.d. di Diritto costituzionale, Università di Torino.
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Justiça processual e prevenção patrimonial: rumo aum“procedimento justo de prevenção”?
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1. Le ragioni di interesse per il tema, a partire dalla trasformazione della
“natura” del procedimento di prevenzione patrimoniale
Oggi uno dei più importanti fattori di evoluzione degli strumenti di contrasto alla
criminalità organizzata e alla corruzione è rappresentato dal percorso di costruzione di
“regole giuridiche comuni europee e persino universali (…) che incoraggiano la confisca di
beni collegati a reati gravi come la corruzione, il riciclaggio, le attività illecite in materia di
sostanze stupefacenti e così via, senza la precedente esistenza di una condanna penale”4.
In questo contesto, emerge una evidente centralità del tema dell’asset recovery: il
“recupero dei patrimoni” derivanti dalle attività delittuose di maggiore gravità costituisce
un importante terreno di dialogo e di impegno comune anche tra paesi aventi strutture
istituzionali ed economiche profondamente diverse tra loro.
Anche nella cultura giuridica italiana, negli ultimi decenni, si è manifestata una
chiara consapevolezza della speciale rilevanza del sistema delle misure di prevenzione
patrimoniali, disciplinato dal “Codice antimafia.
Oggi, da parte degli studiosi più autorevoli, questo sistema non viene più considerato
come una “anomalia italiana”, ma come uno dei più significativi esempi, a livello
internazionale, del modello della confisca non basata sulla condanna (non-conviction based
confiscation).
E’ significativo che proprio il sistema italiano della prevenzione patrimoniale
sia divenuto il modello ispiratore delle riforme recentemente introdotte in altri Stati
interessati a costruire un rapporto più stretto con l’Unione Europea: ad esempio, la riforma
adottata nel 2017 in Albania rispecchia in modo evidente numerose previsioni del nostro
“Codice antimafia.
Nella categoria generale della non-conviction based confiscation rientrano, oltre alle
misure di prevenzione patrimoniali italiane, anche una serie di tipologie conosciute da
altri ordinamenti, non solo di common law (ad es. quelli del Regno Unito, dell’Irlanda, degli
Stati Uniti, dell’Australia) ma anche di civil law. Tra gli esempi più noti, vi sono la civil
forfeiture, la confisca in rem, le unexplained wealth procedures.
Tutte queste tipologie sono contrassegnate da una medesima tendenza evolutiva,
consistente nella progressiva concentrazione dell’accertamento processuale sugli aspetti
economici di un intero fenomeno criminale, in vista della applicazione di misure che
incidono essenzialmente sul patrimonio ed hanno una funzione prevalentemente
preventiva o compensativa, senza comportare la irrogazione di sanzioni restrittive della
4 Corte europea dei diritti dell’uomo, 12 maggio 2015, Gogitidze e altri c. Georgia.
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libera personale (le quali, per loro natura, richiedono necessariamente la pronunzia di una
condanna penale).
Dall’Analysis of non-conviction based confiscation measures in the European Union pubblicata
il 12 aprile 2019 dalla Commissione Europea emerge un dato di indubbio rilievo: in tutti
gli Stati dell’Unione Europea sono state introdotte forme di confisca non basate sulla
condanna, quanto meno nelle ipotesi in cui è impossibile pervenire ad una sentenza
affermativa della responsabilità penale dell’imputato.
Il modello in questione ha ricevuto un forte sostegno anche da un consesso politico
internazionale contrassegnato da una intensa cultura garantistica come l’Assemblea
Parlamentare del Consiglio d’Europa, la quale nella risoluzione n. 2218 del 26 aprile 2018
ha qualificato la non-conviction based confiscation come “il modo più realistico per gli Stati
di affrontare l’enorme, e inesorabilmente crescente, potere finanziario della criminalità
organizzata, al fine di difendere la democrazia e lo stato di diritto”.
Si assiste, in effetti, a quello che la dottrina ha definito come lo sviluppo inarrestabile
della “giustizia penale patrimoniale” (o “processo al patrimonio”)5. A ben vedere,
l’affermazione della più evolute forme di “confisca senza condanna” è espressione di un
percorso di ripensamento delle tradizionali categorie giuridiche che prefigura un vero e
proprio passaggio storico: quello della costruzione di un diritto penale “mite” di stampo
postmoderno, capace di superare il vecchio modello “individualistico” fondato su un
orizzonte statocentrico e sul primato della pena detentiva, per indirizzarsi decisamente
verso la percezione della natura collettiva e della dimensione economica dei più gravi
fenomeni criminali, la progressiva diversificazione dei modelli sanzionatori, e la
costruzione di nuovi metodi di intervento inseriti nel più ampio scenario delle molteplici
forme di reazione affidate non solo al sistema istituzionale ma anche alle iniziative di
solidarietà della socie civile.
Viene così promossa – per usare le parole di Francesco Palazzo6 – una giustizia penale
dal “volto umano”, aliena da ogni furore punitivo e capace di apprestare una risposta
efficace alle sfide della modernità.
Si tratta di un percorso che nel nostro Paese ha ricevuto una spinta decisiva negli anni
’80, quando nella lotta alla mafia sono stati sperimentati metodi di intervento del tutto
nuovi, dove efficienza e garanzia sono state viste come due fattori capaci di rafforzarsi
a vicenda. Particolarmente significativo, al riguardo, è il pensiero espresso, proprio
all’indomani dell’entrata in vigore della legge Rognoni-La Torre, da due dei magistrati più
5 Luparia, Contrasto alla criminalità economica e ruolo del processo penale: orizzonti comparativi e vedute nazionali, in
Processo penale e giustizia, 2015, n. 5, 5
6 P, Diritti, pena e…Antigone, in disCrimen, 2020.
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impegnati nella lotta alla mafia, Giovanni Falcone e Giuliano Turone, secondo cui «il vero
tallone d’Achille delle organizzazioni mafiose è costituito dalle tracce che lasciano dietro
di sé i grandi movimenti di denaro, connessi alle attività criminose più lucrose», e di
conseguenza «lo sviluppo di queste tracce, attraverso un’indagine patrimoniale che segua
il flusso di denaro proveniente dai traffici illeciti, è quindi la strada maestra, l’aspetto
decisamente da privilegiare nelle investigazioni in materia di maa, perché è quello
che maggiormente consente agli inquirenti di costruire un reticolo di prove obiettive,
documentali, univoche, insuscettibili di distorsioni, e foriere di conferme e riscontri ai
dati emergenti dall’attività probatoria di tipo tradizionale»7.
Questa impostazione è alla base della dinamica evolutiva che ha valorizzato le
potenzialità del sistema italiano delle misure di prevenzione patrimoniali, applicate
attraverso un procedimento ad hoc, parallelo e complementare al processo penale. Esso è
stato contrassegnato da una incessante evoluzione normativa, che ha progressivamente
rafforzato il ruolo della giurisdizione e la tutela dei diritti fondamentali.
Allo stesso modo, nel contesto internazionale, la consapevolezza che l’efficacia della
lotta alla criminalità va necessariamente di pari passo con il pieno riconoscimento
delle ragioni del garantismo, si è tradotta in una intensa valorizzazione del ruolo della
giurisdizione.
Ciò è particolarmente evidente nel settore del contrasto al terrorismo internazionale,
dove, per effetto del “dialogo tra le Corti” in tema di congelamento dei beni delle persone
fisiche e delle organizzazioni inserite nelle liste formate presso l’ONU dal Comitato per le
Sanzioni del Consiglio di Sicurezza (c.d. listing), si è sviluppata una rilevante estensione
della “doppia funzionalità” dell’intervento giurisdizionale, visto come uno strumento
indispensabile per realizzare un tessuto connettivo tra i diversi ordinamenti e per
coniugare la tutela dei diritti con l’effettività della risposta preventiva.
In questo settore, si è assistito alla crescente utilizzazione di strumenti già collaudati
contro la criminalità organizzata, sulla base dell’avvertita esigenza di adeguare la
reazione giuridica all’attuale realtà del finanziamento del terrorismo, che si caratterizza
per la diffusa compresenza di risorse lecite e illecite, l’utilizzo di canali informali e lo
sfruttamento dell’economia legale8.
Sono assai numerosi e rilevanti i fattori che hanno condotto ad una crescita
di interesse, nelle più diverse sedi di produzione normativa a livello nazionale e
7 F – T, Tecniche di indagine in materia di mafia, in AA.VV., Riflessioni ed esperienze sul fenomeno mafioso,
Quaderni del CSM, Roma, 1983, 46.
8 B, La prevenzione ante-delictum, in AA.VV., Contrasto al terrorismo interno e internazionale, a cura di
KO, Giappichelli, 2006.
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internazionale, nei confronti delle forme più moderne di sequestro e di confisca dei beni
della criminalità organizzata, divenute ormai il costante modello di riferimento per le
strategie di prevenzione e repressione di tutte le principali forme di illecito penale con
una precisa dimensione economica, comprese quelle di matrice terroristica, tecnologica
o amministrativa.
Il concetto di “dimensione economica” della criminalità organizzata, che sin dagli
anni ’80 del secolo scorso è stato il più diffuso paradigma utilizzato nell’analisi scientifica
per illustrare le caratteristiche di tale fenomeno, è divenuto parte integrante del sistema
giuridico delle Nazioni Unite per effetto della risoluzione 10/4 adottata il 16 ottobre 2020
a Vienna dalla Conferenza delle Parti della Convenzione ONU di Palermo contro la
criminalità organizzata transnazionale: un atto che la comunicazione istituzionale9 e i
mass media10 hanno immediatamente presentato come la “risoluzione Falcone” in quanto
essa – con una indicazione nominativa che è rarissima nell’ambito dei documenti ufficiali
adottati nel contesto delle Nazioni Unite – menziona specificamente la grande eredità
ideale del magistrato italiano che con la sua vita e il suo impegno ha aperto la strada alla
stessa Convenzione.
La strada così tracciata è proseguita con la “Dichiarazione di Kyoto”, adottata il 7 marzo
2021 in apertura del Congresso ONU sulla prevenzione della criminalità e la giustizia
penale, che presenta tra i propri punti più innovativi e qualificanti l’impegno di affrontare
la dimensione economica della criminalità, è stato, poi, uno dei più rilevanti impegni
assunti.
Il concetto di “dimensione economica” è idoneo a ricomprendere sicuramente i
seguenti profili:
a) le radici economiche della criminalità;
b) i mercati illegali gestiti dalle organizzazioni criminali;
c) l’inltrazione della criminalità organizzata nell’economia legale;
d) gli effetti macroeconomici della criminalità organizzata sulla libertà di concorrenza
e sullo sviluppo.
Non si tratta solo di una indicazione di principio, ma di un preciso orientamento
di politica criminale, da attuare attraverso una serie di misure concrete. Ai fini del
9 Cfr. la lettera dei Ministri degli Esteri, dell’Interno e della Giustizia, “Su quali gambe cammineranno le idee di Falcone”,
in Corriere della Sera, 13 dicembre 2020.
10 V. ad esempio R, L’Onu vota la «risoluzione Falcone». Il metodo del giudice ispirerà la lotta alle mafie del mondo,
in www.corriere.it, 17 ottobre 2020; Mafie, ok a Vienna a “risoluzione Falcone”. La sorella Maria: “Grande traguardo”, in
www.repubblica.it , 17 ottobre 2020.
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potenziamento delle attività di prevenzione e di contrasto incidenti su quella vastissima
rete di beni e rapporti economici destinati alla conservazione ed all’esercizio dei poteri
criminali, occorre tenere conto di tre esigenze fondamentali:
a) quella di un approccio integrato che ricomprenda criminalità organizzata e
corruzione in una strategia coerente di contrasto;
b) quella della armonizzazione delle normative di tutti gli ordinamenti interessati,
allo scopo di evitare che le organizzazioni criminali possano approfittare dei vuoti
di tutela presenti nei paesi dove non si sono ancora formati i necessari “anticorpi”;
c) quella del rafforzamento della cooperazione giudiziaria internazionale,
assolutamente indispensabile per affrontare un fenomeno divenuto ormai globale
ed estremamente complesso.
2. Tassatività processuale e ragionamento probatorio
Per realizzare congiuntamente le suesposte tre esigenze, può assumere un ruolo di speciale
rilevanza la capacità del nostro Paese di dare vita a un “giusto processo al patrimonio”, che
divenga un preciso modello di riferimento sulla base del quale dare impulso, da un lato,
all’armonizzazione delle legislazioni adottate da numerosi Stati per il contrasto alle diverse
forme di criminalità e, dall’altro lato, alla piena circolazione delle misure patrimoniali sia
nello spazio giuridico europeo, sia nel contesto internazionale.
Comè noto, le forme di non-conviction based confiscation solo in epoca recente hanno
formato oggetto di disciplina nell’ambito della normativa “eurounitaria”, che in passato
aveva già applicato il principio del reciproco riconoscimento alle decisioni giudiziarie
della più diversa natura.
Precisamente, il Regolamento (UE) 2018/1805 del 14 novembre 2018, relativo al
riconoscimento reciproco dei provvedimenti di congelamento e di confisca, dovrebbe
applicarsi, secondo il “considerando” n. 13, a tutti i provvedimenti di congelamento e tutti i
provvedimenti di confisca emessi “nel quadro di un procedimento in materia penale”, con
la precisazione che quello di “procedimento in materia penale” è “un concetto autonomo
del diritto dell’Unione interpretato dalla Corte di giustizia dell’Unione europea, ferma
restando la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo”.
Si tratta di un concetto che ricomprende tutti i tipi di sequestro e di confisca “emessi
in seguito a procedimenti connessi ad un reato” e va sicuramente oltre i confini della
Direttiva 2014/42/UE, del 3 aprile 2014, relativa al congelamento e alla confisca dei
beni strumentali e dei proventi da reato nell’Unione europea, la quale aveva perseguito
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l’obiettivo della armonizzazione delle legislazioni nazionali in questa materia, limitando
però il proprio ambito di operatività al settore penale.
Nel suddetto “considerando” n. 13 viene, infatti, espressamente affermato che il nuovo
Regolamento “contempla inoltre altri tipi di provvedimenti emessi in assenza di una
condanna definitiva”, e si aggiunge che “benché tali provvedimenti possano non esistere
nell’ordinamento giuridico di uno Stato membro, lo Stato membro interessato dovrebbe
essere in grado di riconoscere ed eseguire tali provvedimenti emessi da un altro Stato
membro”. Per converso, però, si precisa che i provvedimenti di sequestro e confisca “emessi
nel quadro di procedimenti in materia civile o amministrativa” dovrebbero essere esclusi
dall’ambito di applicazione del Regolamento.
Si è, dunque, in presenza di un persistente problema applicativo a proposito della
inclusione nella sfera di operatività del Regolamento delle misure di prevenzione
patrimoniali italiane, le quali, al pari di analoghe ipotesi contemplate da altri ordinamenti,
da un lato sono qualificabili come provvedimenti “emessi in seguito a procedimenti
connessi ad un reato”, ma dall’altro lato, secondo la giurisprudenza della Corte europea
dei diritti dell’uomo, restano soggette soltanto ai principi del “processo equo” valevoli
per le controversie su diritti ed obbligazioni di carattere civile, di cui all’art. 6, § 1, della
CEDU, in quanto sono applicate attraverso una procedura in rem, si sostanziano in forme
di regolamentazione dell’uso dei beni in conformità all’interesse generale, e sono quindi
riconducibili alla previsione dell’art. 1, § 2, del Protocollo n. 1 addizionale alla CEDU11.
Per eliminare ogni dubbio sulla inclusione delle misure di prevenzione patrimoniali
nell’area di operatività del nuovo regolamento, la soluzione preferibile sembra essere
quella di una estensione al relativo procedimento di tutte le garanzie previste dall’art. 6,
§§ 1 e 3, della CEDU in rapporto alla materia penale.
Viene così ulteriormente sviluppato l’approccio culturale sotteso all’attività di quella
parte della giurisprudenza di merito che, valorizzando lo strumento delle misure di
prevenzione patrimoniali, ha circondato il relativo procedimento di una serie di garanzie
tale da rendere possibile la circolazione dei provvedimenti di sequestro e di confisca sia
nello spazio giuridico europeo, sia nel territorio di paesi posti al di fuori dell’Unione
Europea.
11 Cfr. Corte europea dei diritti dell’uomo, 22 febbraio 1994, Raimondo c. Italia; 15 giugno 1999, Prisco c. Italia; 5
gennaio 2010, Bongiorno e altri c. Italia. Con riguardo alle forme di forfeiture previste nell’ordinamento inglese
rispettivamente dal Drug Tracking Act 1994 e dal Criminal Justice (International Co-operation) Act 1990, v. Corte
europea dei diritti dell’uomo, 27 giugno 2002, Butler c. Regno Unito, e 10 febbraio 2004, Webb c. Regno Unito,
che le qualificano come misure preventive non assimilabili a sanzioni penali, in quanto finalizzate a togliere
dalla circolazione denaro presumibilmente connesso al traffico internazionale di sostanze stupefacenti, all’esito
di un procedimento che non implica una decisione su un’accusa penale.
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Di particolare interesse sono, al riguardo, le già citate sentenze adottate dal Tribunale
Penale Federale della Svizzera il 2 giugno 2016, il 21 gennaio 2011 e l’1 dicembre 2010,
che hanno accolto le richieste di cooperazione giudiziaria internazionale formulate
dall’autorità giudiziaria italiana in relazione a beni situati nel territorio elvetico.
Muovendo dalla premessa che la cooperazione giudiziaria internazionale può essere
attivata solo nell’ambito di un procedimento penale, il Tribunale Penale Federale ha
affrontato la questione concernente la natura giuridica del procedimento e della confisca
di prevenzione, sul presupposto della non vincolatività esegetica della qualificazione
giuridica adottata dal legislatore nazionale.
In questa prospettiva, i giudici svizzeri, hanno ravvisato la sussistenza dei
presupposti della mutual legal assistance nell’ambito di ogni procedimento che, sebbene non
formalmente penale, sia preordinato all’apertura di un procedimento penale, all’esercizio
dell’azione penale o sia comunque collegato ad un procedimento penale.
Sulla scorta di tali argomentazioni, il Tribunale elvetico ha accolto la tesi della natura
sostanzialmente penale del procedimento di prevenzione patrimoniale, richiamando
la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, che ne conferma la piena
compatibilità con i principi dell’equo processo e del diritto di difesa, sanciti dall’art. 6 della
CEDU.
Dunque i profili garantistici effettivamente applicati, assimilabili a quelli di un
procedimento penale in senso stretto, costituiscono elementi inferenziali, per i giudici
elvetici, della natura penale della confisca e del procedimento di prevenzione12.
Evidentemente, alla base di questa valutazione compiuta dall’autorità giudiziaria
estera, vi è stata la capacità della magistratura italiana di costruire un “diritto vivente”
del contrasto alle basi patrimoniali della criminalità organizzata connotato in senso
ampiamente conforme agli standard internazionali del “processo equo”13.
Nelle migliori esperienze applicative, infatti, il procedimento di prevenzione
patrimoniale ha rivelato una sicura idoneità ad attuare pienamente i principi di
efficienza e di garanzia, grazie alla riconosciuta possibilità di utilizzare il complesso dei
mezzi di prova tipici del sistema penale (avvalendosi anche di banche dati basate sulla
più moderna tecnologia), di concentrare l’accertamento processuale sull’analisi delle
dinamiche finanziarie e di accumulazione patrimoniale avvalendosi anche del contributo
di esperti provenienti da altre istituzioni (come la Banca d’Italia), di consentire una ampia
12 In proposito, si rinvia a B – L, La controversa natura delle misure di prevenzione patrimoniali, in Le
misure di prevenzione, a cura di F, Utet, 2013.
13 Sull’argomento si rinvia a B – R, Mafie al Nord. L’interpretazione dell’art. 416 bis c.p. e l’ecacia degli
strumenti di contrasto, in www.penalecontemporaneo.it, 18 ottobre 2013.
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esplicazione del diritto di difesa, e di fondare la decisione finale su un elevato livello di
approfondimento degli aspetti fattuali e giuridici. Si tratta di una linea di pensiero che
risale alla teorizzazione del modello delle indagini finanziarie contro la criminalità
organizzata da parte di Giovanni Falcone e al suo «forte richiamo allo Stato di diritto ed
al rispetto della legalità, proprio nel momento in cui l’accresciuta virulenza del crimine
organizzato suscita suggestioni crescenti di interventi autoritari e di leggi eccezionali»14.
I risultati concreti di questa costruzione giurisprudenziale meritano adesso di essere
cristallizzati in una appropriata regolamentazione legislativa, la cui necessità appare
sempre più evidente nello scenario aperto dalla sentenza de Tommaso della Grande Camera
della Corte europea dei diritti dell’uomo15, che nel ribadire l’esigenza della previsione
legislativa delle misure di prevenzione ha posto in evidenza il profilo della qualità della
legge, nel duplice senso della accessibilità del testo normativo per gli interessati e della
prevedibilità dei suoi effetti.
Nel prendere in esame le conseguenze “sistemiche” della suddetta pronuncia sul piano
del diritto interno, la Corte Costituzionale16 ha tracciato una rilevante distinzione tra il
concetto di tassatività sostanziale – attinente al rispetto del principio di legalità sulla base
degli artt. 41 e 42 Cost., nonché dell’art. 1 del Protocollo n. 1 addizionale alla CEDU, ed inteso
quale garanzia di precisione, determinatezza e prevedibilità degli elementi costitutivi della
fattispecie legale che costituisce oggetto di prova – e il concetto di tassatività processuale.
Quest’ultimo concetto, secondo il giudice delle leggi, attiene alle modalità di
accertamento probatorio in giudizio, ed è quindi riconducibile a differenti parametri
costituzionali e convenzionali – tra cui il diritto di difesa di cui all’art. 24 Cost. e il diritto
a un “giusto processo” ai sensi dell’art. 111 Cost. e dall’art. 6 CEDU – i quali sono comunque
dotati di «fondamentale importanza al fine di assicurare la legittimità costituzionale del
sistema delle misure di prevenzione».
Il ruolo del principio di tassatività processuale in questa materia è rimasto finora quasi
del tutto inesplorato; esso però sembra sicuramente destinato a crescere in un prossimo
futuro, anche per la sua connessione con la garanzia della certezza del diritto affermata
dalla Corte europea come requisito implicito essenziale del “processo equo”.
14 F, La lotta alla mafia – perché si vince coi giudici, in La Stampa, 6 novembre 1991.
15 Corte europea dei diritti dell’uomo, Grande camera, 23 febbraio 2017, De Tommaso c. Italia, su cui v. i commenti
di V, La Corte di Strasburgo assesta un duro colpo alla disciplina italiana delle misure di prevenzione personali,
in www.penalecontemporaneo.it, 3 marzo 2017; M, Misure di prevenzione e fattispecie a pericolosità generica:
la Corte Europea condanna l’Italia per la mancanza di qualità della “legge”, ma una rondine non fa primavera, in www.
penalecontemporaneo.it, 6 marzo 2017, 13 ss.; M, La sentenza De Tommaso c. Italia: verso la piena modernizzazione
e la compatibilità convenzionale del sistema della prevenzione, in www.penalecontemporaneo.it, 26 aprile 2017.
16 C. cost., 24 gennaio 2019, n. 24.
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La tassatività processuale forma quindi oggetto di un preciso obbligo di matrice
costituzionale e convenzionale, che grava non solo sul legislatore ma anche sull’interprete,
riferendosi agli standard qualitativi – in termini di precisione, determinatezza e
prevedibilità – di una nozione di legalità che include in sé, oltre al materiale normativo,
anche il formante giurisprudenziale.
A fronte di quest’obbligo, la disciplina contenuta nel Codice antimafia appare ancora
assai carente, risolvendosi in una regolamentazione vistosamente sommaria e antiquata
di una materia di estrema rilevanza e attualità. Le norme dedicate dal Codice antimafia al
procedimento di prevenzione patrimoniale sono, per molti aspetti, così scarne da rendere
possibili prassi applicative del tutto diverse tra loro, e per nulla prevedibili dai soggetti
interessati.
Emerge quindi con chiarezza la necessità della costruzione di un “giusto procedimento
di prevenzione” con una riforma legislativa che riempia i vastissimi “spazi interstiziali”
lasciati vuoti dalla lacunosa disciplina attualmente contenuta nel Codice antimafia,
implementando in modo efficace tutte le garanzie processuali previste dall’art. 6, § 3, della
CEDU in rapporto alla materia penale: si tratta di un passaggio che assume una valenza
decisiva sia per assicurare il rispetto dei principi costituzionali e convenzionali, sia per
internazionalizzare le strategie di contrasto alle basi economiche delle organizzazioni
criminali17.
3. Un nuovo calcio d’inizio per la partita U.E. sulla confisca: la proposta
diuna nuova direttiva
Nell’ambito delle iniziative adottate sul piano sovranazionale per incrementare le
potenzialità dello strumento della confisca di prevenzione ai fini del contrasto alla
criminalità organizzata, merita specifica considerazione la proposta di direttiva
riguardante il recupero e la confisca dei beni adottata a Bruxelles il 25 maggio del 2022 dal
Parlamento e dal Consiglio.
Sin dalle prime battute, le istituzioni dell’U.E. sottolineano quanto lo strumento della
confisca sia essenziale per garantire la sicurezza all’interno dell’Unione. Attraverso un
riferimento esplicito alla Strategia dell’U.E. per la lotta alla criminalità organizzata 2021-
202518, si pone il focus sulla necessità di colpire il profitto economico, scopo principale
delle reti della criminalità organizzata. In questa prospettiva, introdurre disposizioni
17 In proposito, si rinvia a B, Le misure di prevenzione patrimoniali. profili processuali, in La legislazione antimafia,
a cura di M – L, Zanichelli, 2020.
18 https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/?uri=CELEX%3A52021DC0170
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Fairness procedimentale e prevenzione patrimoniale: verso un “giusto procedimento diprevenzione”?
Justiça processual e prevenção patrimonial: rumo aum“procedimento justo de prevenção”?
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normative a ulteriore presidio delle operazioni di confisca e recupero dei beni si pone
come una priorità dell’Unione per conseguire l’obiettivo che «il crimine non paghi»19.
Un nuovo atto normativo in materia si è reso per di più necessario all’indomani dello
scoppio del conflitto russo-ucraino. Misure restrittive che colpiscono il patrimonio – sotto
forma di congelamenti di beni, restrizioni all’ammissione, clausole antielusione – sono
state irrogate nei confronti di Russia e Bielorussia, sulla scorta di quanto già disposto nel
2014 in risposta all’annessione illegale di Crimea e Sebastopoli.
Sul piano internazionale, la proposta di direttiva è sinergica rispetto ad alcune
misure adottate su scala mondiale. In particolare, si pone in linea con le Convenzioni
ONU sulla criminalità organizzata e i relativi protocolli, la Convenzione ONU contro la
corruzione, la Convenzione di Varsavia del Consiglio d’Europa e la raccomandazione n. 4
del GAFI, il Gruppo di Azione Finanziaria Internazionale: il cuore normativo di tali atti è
l’imposizione agli Stati parte di introdurre provvedimenti atti a congelare e confiscare I
beni che risultino connessi ad attività criminali.
Appunto il citato art. 83 TFUE costituisce la base giuridica della direttiva in oggetto:
esso è uno dei fulcri della cooperazione giudiziaria in materia penale e include la
criminalità organizzata nel novero delle «sfere di criminalità particolarmente grave che
presentano una dimensione transnazionale». Insieme con l’art. 83, anche gli art. 82 e 87
contribuiscono a delineare la base giuridica delle nuove misure, rispettivamente per i
meccanismi di riconoscimento reciproco delle sentenze e delle decisioni giudiziarie e la
cooperazione di polizia e giudiziaria nelle materie penali aventi dimensione transnazionale
e per la cooperazione transfrontaliera in materia di indagini.
Di facile deduzione risultano la necessarietà e l’opportunità dell’intervento U.E. in
tema di contrasto alla criminalità organizzata: il rispetto del principio di sussidiarietà si
evince per tabulas dalla pervasività del fenomeno e dalla fatica che i singoli Stati membri
incontrano nel combatterla motu proprio e, in questa direzione, l’introduzione di una
norma minima comune si impone in ossequio al principio di proporzionalità.
La direttiva in commento accorpa in un unico atto la decisione quadro 2005/212/
GAI del Consiglio, la decisione del Consiglio relativa agli uffici per il recupero dei
beni e la direttiva relativa alla confisca, stabilendo norme comuni per il reperimento e
l’identificazione, il congelamento, la gestione e la confisca dei beni. La scelta di procedere
alla riunione in un’unica direttiva più atti normative vigenti va oltre mere esigenze di
drafting e si mostra maggiormente idonea a perseguire la realizzazione dello scopo
19 Relazione della Commissione al Parlamento europeo e al Consiglio, Recupero e confisca dei beni: garantire che
“il crimine non paghi” (COM(2020) 217 final del 2.6.2020
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principale attraverso una strategia più efficace anche sul piano normativo. La scelta della
direttiva, fondata sulle basi giuridiche predette, assegna agli Stati un margine di manovra
rilevante nell’individuazione, attraverso gli atti normativi di recepimento, delle linee di
azione realizzative degli scopi fissati dall’Unione.
Misure restrittive della capacità patrimoniale del soggetto come quelle attualmente
in discussione chiamano in gioco numerosi diritti fondamentali. La proposta di direttiva
contiene un rimando esplicito al rispetto di questi ultimi, per come previsto dalla Carta dei
diritti fondamentali dell’U.E., e segnatamente a quella clausola, contenuta nell’art. 52, che
pone in stretta connessione principio di proporzionalità e finalità legittima di realizzare
obiettivi di interesse generale dell’U.E. e salvaguardia dei diritti e delle libertà di tutti.
L’ingerenza delle misure proposte nei diritti fondamentali (compresi segnatamente i
diritti di proprietà) è giustificata dalla necessità di privare efficacemente i criminali e in
particolare la criminalità organizzata dei loro beni illeciti, in quanto questi rappresentano
sia la principale motivazione che li induce a commettere reati, sia i mezzi per proseguire
ed espandere le loro attività criminose. Le misure proposte sono limitate a quanto
necessario per conseguire tale obiettivo. Il nuovo modello di confisca introdotto è
giustificato dalle difficoltà intrinseche nel ricondurre i beni a specifici reati nei casi in
cui il proprietario è coinvolto in attività della criminalità organizzata che consistono
in molteplici reati commessi lungo un arco di tempo prolungato. Infine, il rispetto dei
diritti fondamentali sarà assicurato mediante garanzie che comprendono efficaci mezzi di
ricorso a disposizione dell’interessato per tutte le misure previste nella direttiva proposta,
comprese le nuove prescrizioni riguardanti le vendite pre-confisca o il nuovo modello di
confisca.
Non va tralasciata, da ultimo, l’attività di stakeholders engagement avviata in fase di
redazione della proposta di direttiva. Law Enforcement Agencies, soggetti private, enti
territoriali, università, organizzazioni non-governative, organizzazioni internazionali,
istituzioni europee, centri di ricerca sono stati opportunamente consultati per individuare
le misure normative più opportune alla luce degli interessi concretamente presenti nella
realtà fattuale.
4. NCB, istruzioni per l’uso: il documento ECCD del Consiglio d’Europa
Nell’aprile del 2021, il Consiglio d’Europa, attraverso l’Economic Crime and Cooperation
Division (di seguito: ECCD), ha ribadito quanto lo strumento della NCB possa essere decisivo
per la lotta alla criminalità organizzata e, in un paper, ha consegnato alla comunità della
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c.d. “Grande Europa” alcune “istruzioni per l’uso” riferite a tale strumento20. Come noto,
il tema non è nuovo per il Consiglio d’Europa, che vi ha profuso la sua attenzione anche
sul piano normativo, introducendo, nel 1990, la Convention on Laundering, Search, Seizure and
Confiscation of the Proceeds from Crime21, in cui la confisca è definite «following proceedings
in relation to a criminal offence or criminal offences resulting in the final deprivation
of property». Sul piano delle fonti del diritto internazionale convenzionale, tra quelle
che maggiormente disciplinano l’oggetto in questione, è opportune fare riferimento alla
Convenzione ONU di Palermo, alla Convenzione di Vienna e alla Convenzione di Merida22.
La lettura del paper del 2021 aiuta a rinvenire la genesi della NCB sul terreno
anglosassone. A tal proposito, è riportato un passo assai significativo di uno speech
parlamentare di Lord Goldsmith:
Someone at the centre of a criminal organisation may succeed in distancing himself
suciently from the criminal acts themselves so that there is not sucient evidence to
demonstrate actual criminal participation on his part. Witnesses may decline to come
forward because they feel intimidated. Alternatively, there may be strong evidence that the
luxury house … the yachts and the fast motor cars have not been acquired by any lawful
activity because none is apparent. It may also be plain from intelligence that the person is
someone engaged in criminal activity, but it may not be clear what type of crime. It could
be drug tracking, money laundering or bank robbery. However, the prosecution may not
be able to say exactly what is the crime, and thus the person will be entitled to be acquitted
of each and every oence. If, in a criminal trial, the prosecution cannot prove that the per-
son before the court is in fact guilty of this bank robbery or that act of money laundering,
then he is entitled to be acquitted. Yet it is as plain as a pikesta that his money has been
acquired as the proceeds of crime23.
LECCD compie un’interessante rassegna della confisca in vari ordinamenti – non
solo degli Stati parte del Consiglio d’Europa – volta a dimostrare come lo strumento della
NCB si sia inverato in modi differenti nelle esperienze dei singoli Stati e come, in alcuni
20 https://www.coe.int/en/web/corruption/-/eccd-publishes-a-paper-on-the-use-of-non-conviction-based-seizure-
and-confiscation
21 Council of Europe Convention on Laundering, Search, Seizure and Confiscation of the Proceeds from Crime
(ETS No.141), Article 1(d).
22 Un esame dei profili convenzionali sul tema è compiuto da B Le misure patrimoniali tra armonizzazione
e cooperazione giudiziaria internazionale, in BMT, La Convenzione di Palermo: il future
della lotta alla criminalità organizzata transnazionale, Giappichelli 2020, 257 ss.
23 House of Lords Debate 25 June 2002, vol 636, cols 1270-71, per Lord Goldsmith.
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Paesi, la cattura dei proventi illeciti non sia condotta in alcun modo. Degno di nota è il
riferimento all’ordinamento italiano e alle previsioni del codice antimafia. Sul punto
della definizione della pericolosità generica, non appare corretto il riferimento all’art. 1
del Codice antimafia, in particolare ove si afferma che il carattere di detta pericolosità
è da provarsi in relazione alle stesse regole che presiedono la prova nel processo penale.
Il tratto distintivo della NCB che si ricava dall’analisi dei vari modelli presentati è da
rinvenirsi in una base probatoria solida su cui fondare lo strumento e nella remissione
della valutazione in capo all’applicazione della confisca a un tribunale specializzato o a un
giudice anziano.
Centrale è altresì l’analisi dei benefits e challenges compiuta dall’ECCD.
Il piano delle sfide è dominato dai rischi connessi al mancato presidio delle garanzie
processuali penali. Applicare una NCB significa incidere in modo massiccio nell’ambito
dei diritti fondamentali della persona, che viene spogliata dei suoi beni, senza che
tale procedimento sia garantito dalle regole del processo penale. In particolare, non
dovrebbero essere sottovalutati lo stress e lo stato di incertezza giuridica arrecati al
preposto. Un pregiudizio serio si misura in relazione all’ambito della civic constitutional
culture e all’impatto che un procedimento di prevenzione potrebbe avere sul cittadino.
Un soggetto cui è applicata la misura della confisca – che comporta un depauperamento
della sua capacità patrimoniale – potrebbe erroneamente credere di essere coinvolto in un
procedimento penale, a motivo della rilevanza delle accuse a suo carico.
Da un lato, in effetti, la confisca dei beni acquisiti illegalmente – che pure colpisce le
proprietà e non la persona – ha effetti che si avvicinano nella percezione sociale a quelli
dei procedimenti penali. Dall’altro, una puntuale informazione dei soggetti coinvolti è resa
necessaria dall’assenza di connessione automatica tra sequestro dei beni e comportamento
illecito del loro detentore, laddove la proprietà confiscata sia passata nelle mani di terzi, i
quali non siano direttamente responsabili di comportamenti di rilevanza penale. Questi
ultimi devono in ogni momento poter esercitare il loro diritto alla conoscenza della natura
dei procedimenti in corso ed essere in grado di opporvisi.
Un’ulteriore criticità collegata alla NCB risiede nella debolezza dell’onere della prova
e nel conseguente rischio che la sanzione comminata risulti sproporzionata rispetto
all’entità delle situazioni contestabili sulla base delle prove fornite. La relativa facilità con
cui è possibile accedere a misure gravemente penalizzanti sul piano patrimoniale potrebbe
incoraggiare le autorità giudiziarie a servirsi di preferenza della via civile, anziché della
via penale, come strumento di sanzione dell’illecito. Strategie di questo tipo, emerse per
esempio nel Regno unito (nell’ambito della causa Regina vs. Innospec Limited), hanno
suscitato i rilievi critici degli osservatori, colpiti dalle potenzialità delegittimanti che, agli
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occhi dell’opinione pubblica, può avere la scelta di perseguire comportamenti criminali
gravi – in quel caso, la corruzione di pubblici ufficiali – con dei mezzi civili, i quali del
resto, non prevedendo misure di custodia, rischiano di essere inefficaci nel disincentivare
dai reati contestati.
Garanzie per i soggetti coinvolti e uso non arbitrario sono insomma le condizioni
necessarie di un efficace esercizio della NCB, che non può servire come un surrogato
del processo penale laddove questo sia possibile e opportuno, ma si rivela efficace nella
misura in cui, venuta meno la possibilità di perseguire penalmente i presunti criminali,
permette di danneggiarli concretamente sul piano economico.
5. Notazioni conclusive
Nell’analisi svolta si è cercato di far emergere quanto sdrucciolevole sia il terreno,
sostanziale e processuale, della prevenzione patrimoniale. Nata come strumento potente
della lotta contro la criminalità organizzata, essa sconta alcune lacune vistose sul piano
della fairness procedimentale, a cominciare dallo scarso inveramento del principio di
tassatività processuale. L’introduzione di maggiori e più adeguati presidi nell’ambito
procedimentale è postulata con forza dalla delicatezza degli interessi involti nel
procedimento di prevenzione patrimoniale: da un lato, l’interesse dello Stato a emettere
provvedimenti ablativi del patrimonio che colpiscano al cuore nuclei criminogenetici;
dall’altro, l’interesse del singolo a confidare su regole formulate in modo chiaro e prevedibile,
che siano in linea con gli standard sovranazionali. Appunto in questa direzione, volgendo
lo sguardo al panorama sovranazionale, si ha come la percezione di uno iato esistente tra
la prescrizione – o, in ogni caso, l’indicazione – da parte di istituzioni dell’U.E., da un lato,
e di organi internazionali, dall’altro, di soglie di legalità atte a garantire il cittadino nei
procedimenti di prevenzione e l’ubi consistam delle misure di prevenzione patrimoniale sul
terreno dei singoli ordinamenti nazionali.
In questa prospettiva, il caso italiano mostra dei tratti emblematici, a cominciare
dalla vexata quaestio inerente la natura penale dell’intero sistema della prevenzione.
Trattasi di una discussione che si connota a tratti come stantia e poco aggiornata:
copiosa giurisprudenza di merito, di legittimità e costituzionale italiana, che si ri
anche a precedenti della Corte europea dei diritti dell’uomo, argomenta la natura civile-
amministrativa delle misure di prevenzione basandosi su precedenti della Corte europea
dei diritti dell’uomo24 che, sul punto, hanno esaurito il loro potenziale argomentativo.
24 CtEDU Raimondo c. Italia, Prisco c. Italia e Bongiorno c. Italia.
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Tali precedenti si riferiscono, infatti, a un momento storico in cui l’applicazione delle
misure di prevenzione patrimoniali era effettuata congiuntamente a quella delle misure
di prevenzione personali. Ciò ha prodotto chiari effetti sulla confisca di prevenzione,
smontando la finalità specialpreventiva dell’istituto. Sinora, però, va rilevato che non è
rintracciabile un precedente in cui la Corte europea abbia scrutinato la questione della
natura della confisca di prevenzione – misura patrimoniale – applicata disgiuntamente
dalle misure personali.
Nell’ambito del procedimento di prevenzione patrimoniale, le carenze applicative del
principio di tassatività processuale rendono evidente la “frode delle etichette”25: la scarsità
delle garanzie non aiuta di certo a costruire il rispetto delle regole del giusto processo
in un procedimento che, appunto in quanto autonomo rispetto al procedimento penale,
esige un intervento chirurgico dello Stato nella costruzione dei suoi presidi. Il recupero
della vera natura del procedimento di prevenzione patrimoniale passa anche attraverso la
costruzione di un giusto procedimento della prevenzione.
25 Già denunciata, ad esempio, nei confronti dell’ordinamento italiano, dal giudice portoghese Paulo Pinto de
Albuquerque nella sua opinione dissenziente in CtEDU, De Tommaso c. Italia. Attesa la natura di «incubatrice
dell’indirizzo giurisprudenziale di domani» (l’espressione, del Presidente della Corte suprema federale Earl
Warren, è riportata da P. Barile, Risposta a Per un miglioramento della comprensione e della funzionalità della giustizia
costituzionale, in Democrazia e diritto, 1963, 509) posseduto dalle opinioni dissenzienti e, in generale, separate,
non sorprenderebbe se il contenuto argomentativo dell’opinione del giudice Pinto potesse essere ripreso dalla
maggioranza in un nuovo arresto della Corte europea sul punto.