GALILEU · e‑ISSN 2184‑1845 · Volume XXIII · Issue Fascículo 1‑2 · 1st January Janeiro – 31st December Dezembro 2022 · pp. 23‑38 23
Franco cordero e le dottrine
delprocessopenale
Franco cordero and the doctrines of the criminal process
RENZO ORLANDI1
renzo.orlandi@unibo.it
GALILEU–REVISTA DE DIREITO E ECONOMIA · eISSN 2184‑1845
Volume XXII · 1st January Janeiro–31ST December Dezembro 2022 · pp.23‑38
DOI: https://doi.org/10.26619/2184‑1845.XXIII.1/2.2
Submitted on April 21st, 2022 · Accepted on April 26th, 2022
Submetido em 21 de Abril, 2022 · Aceite a 26 de Abril, 2022
SOMMARIO 1. Premessa. – 2. Le situazioni soggettive nel processo penale. – 3. L’incontro
con Carnelutti e l’impegno per la riforma del processo penale. – 4. I tre studi sulle prove
penali. – 5. Il manuale di Procedura penale. – 6. Altre sfide. – 7. Cosa ci resta?
ABSTRACTINITALIANO Lo scritto illustra la figura di un intellettuale di grande valore,
un umanista dei nostri tempi che ha saputo spendere il proprio talento in molteplici
direzioni. È stato giurista, storico, filosofo, romanziere, polemista. Larticolo si concentra
in particolare la sua produzione nel campo della Procedura penale, con studi che hanno
lasciato una traccia vasta e profonda. Il suo impegno nel ristretto ambito delle dottrine
processualistiche si allenta a partire dagli anni ’60 del secolo scorso, per ragioni che il
presente scritto tenta di individuare.
PAROLE-CHIAVE dottrine; giurista; umanista.
ABSTRACT The paper illustrates the figure of an intellectual of great value, a humanist
of our times who has been able to spend his talent in many directions. He was a jurist,
historian, philosopher, novelist, polemicist. The article focuses its production in particular
in the field of Criminal Procedure, with studies that have left a vast and profound trace.
His commitment to the restricted area of procedural doctrines is loosened since the 1960s,
for reasons that this paper attempts to identify.
KEYWORDS doctrine; jurist; humanist.
1 Professor Catedrádico de Direito Processual Penal da Universidade de Bolonha.
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Franco cordero and the doctrines of the criminal process
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1. Premessa. Una singolare figura di giurista-umanista della contemporaneità: questo è
stato, a mio avviso, Franco Cordero. Autore prolifico e coltissimo, ha spinto in molte dire-
zioni il suo sguardo in un arco temporale durato circa settantanni. Si è occupato di diritto
penale, di procedura penale, di filosofia del diritto; ha coltivato studi storici, ha scritto
romanzi e, da ultimo, dopo essersi congedato dall’insegnamento universitario, ha vestito
i panni del polemista, scagliandosi contro la decadenza dei costumi italiani e contro la
degenerazione morale delle classi dirigenti. Tante opere diverse, ma, al fondo, un solo
impegno intellettuale: lotta a ogni sorta di dispotismo, agli stereotipi, alle ortodossie che
umiliano la libertà di pensiero. In questo suo impegno civile Cordero davvero ricorda gli
umanisti rinascimentali in odore di eresia, come Lorenzo Valla, Paolo Sarpi, Tommaso
Campanella, che seppero sfidare il pensiero dominante del loro tempo consapevoli dei
rischi che correvano.
Ripercorrere le tappe della lunga e affascinante avventura intellettuale di Cordero è
compito che supera le mie forze e non può qui essere intrapreso se non a grandi linee. In
questa sede prenderò principalmente in considerazione gli scritti che, a mio avviso, hanno
contributo in misura significativa allo sviluppo della dottrina processualpenalistica ita-
liana, lasciando sullo sfondo o citando solo occasionalmente scritti appartenenti ad altri
ambiti.
L’influenza di Franco Cordero nel settore della procedura penale è stata intensa e pro-
fonda sin dai primi studi.
Biografia singolare, la sua. Ambiva a diventare medico, ma qualcuno che lo sente
parlare in un pubblico dibattito, quand’è ancora liceale, lo convince a seguire la carriera
forense: l’oratoria fluida ed erudita ne farà certamente un grande avvocato. Si iscrive
all’Università di Torino, dove si laurea in diritto romano all’inizio degli anni Cinquanta
del secolo scorso, sotto la supervisione di Giuseppe Grosso, personalità di notevole rilievo
intellettuale, al quale resterà molto legato2.
Cresciuto per qualche anno alla Scuola di Francesco Antolisei, verso la metà degli anni
Cinquanta si sposta a Milano, nello studio di Enrico Allorio (allievo di Francesco Carne-
lutti, già in rotta col maestro) per avviarsi alla carriera forense. Lì nasce la sua passione per
lo studio e per l’insegnamento accademico.
Persona schiva e poco incline a circondarsi di interlocutori, non ha avuto una Scuola,
non ha generato allievi in senso stretto, se il termine è inteso nel senso tradizionale pro-
prio del gergo accademico. Bisogna però riconoscere che tutti (ma proprio tutti) coloro che,
2 Al punto da dedicargli una delle sue opere più significative (Riti e sapienza del diritto Laterza, Bari, 1981): un «ina-
bissamento nella cultura giuridica», che sarebbe piaciuto alla sua (di Giuseppe Grosso) «adunca fantasia specu-
lativa».
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in Italia a partire dagli anni ’60 del secolo scorso, si sono occupati di procedura penale si
sono dovuti misurare con le sue riflessioni sulle fondamentali categorie concettuali del
diritto processuale, sul diritto probatorio, sulla riforma della giustizia penale. Sotto que-
sto profilo, ogni cultore contemporaneo del diritto processuale penale italiano ha visto in
lui un maestro e si può quindi considerare suo allievo.
Gli scritti fondamentali (per quanto qui interessa) appaiono nel corso di un decennio,
dal 1956 al 1966. Si tratta di un periodo cruciale per la dottrina processuale penale che, fino
agli inizi degli anni ’60, non aveva ancora raggiunto, in Italia, una vera autonomia didat-
tica. Quasi in tutte le Università, il relativo insegnamento era assegnato, per affidamento,
a professori di diritto penale che dedicavano ai principi fondamentali del processo qualche
rapido cenno a fine corso. Lo ricorda lo stesso Cordero in una sua recente confessione auto-
biografica: “Ancora nel secolo scorso (la procedura penale) era disciplina da poco, utile in trucchi
legulei. I cultori della clinica penalistica la sdegnavano, puntando alla disputa nel merito. Correva
l’anno 1950 quando andavo al terz’ultimo esame torinese: sulla carta la insegna Francesco Antolisei,
insigne penalista, ma non vi apre bocca3. La manualistica era costruita sulle categorie con-
cettuali elaborate dai cultori del diritto processuale civile, prevalentemente ancorate alla
sistematica chiovendiana del “rapporto giuridico-processuale”. Questa era la situazione
dottrinale quando Cordero si affacciava alla vita accademica.
2. Le situazioni soggettive nel processo penale. – Dopo alcuni anni di apprendistato presso la
cattedra torinese di Diritto penale, Franco Cordero pubblica (nel 1956 a soli 28 anni) una
monografia di notevole impegno e spessore teorico. Il titolo, “Le situazioni soggettive nel
processo penale”, evoca volutamente il volume pubblicato circa trent’anni prima da James
Goldschmidt (Der Prozess als Rechtslage. Kritik des prozessualen Denkens, 1925).
Il giurista tedesco, perseguitato dal nazismo e costretto ad abbandonare la Germania
per la sua origine ebraica, era stato quasi dimenticato. Qualcuno in Italia aveva cercato di
valorizzare la sua rivoluzionaria visione del fenomeno processuale: Giuseppe Guarneri,
ad esempio, che, nel 1939, tentava di rifondare la scienza processualistica in un’opera di
notevole interesse (Sulla teoria generale del processo penale, Milano, Giuffrè) ed Enrico Allo-
rio, che, nel suo Diritto processuale tributario (Torino, Utet, 1942), dimostrava di tener conto
di alcune riflessioni goldschmidtiane, pur non accettando l’idea di sostituire la categoria
del “rapporto giuridico processuale” con quella di “situazione giuridica”4.
3 Rutulia, Roma, Quodlibet, 2016, p. 237.
4 Anche Piero Calamandrei, a un certo punto, dimostra di apprezzare, se non di condividere, la costruzione teorica
di Goldschmidt: v. Il processo come giuoco, in Scritti giuridici in onore di F. Carnelutti, vol. II, Padova, Cedam, 1950, p. 31
ss., nonché nel saggio dedicato al processualista tedesco nel decennio della sua scomparsa: Un maestro di liberali-
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Per parte sua, Cordero vaglia criticamente il pensiero di Goldschmidt: non accetta l’i-
dea di “situazione giuridica” per le intromissioni metagiuridiche che la connotano5, ma
ripudia anche la categoria del “rapporto giuridico processuale”, inadeguato a suo avviso a
fornire una rappresentazione giuridicamente pregnante del nugolo di relazioni nei quali
si risolve il fenomeno processuale6. Ritiene di trovare la chiave di volta nel concetto di
“situazione soggettiva”, inteso in senso rigorosamente formale come riferito alle figure
del “potere”, del “dovere”, dell’onere”, secondo i postulati della dottrina kelseniana. Più che
ai maestri della Procedura civile, guarda agli studiosi del diritto amministrativo (Benve-
nuti; Guarino; Sandulli) che in quegli anni stavano analizzando il procedimento (ammi-
nistrativo) avvalendosi a loro volta dei concetti elementari di “situazione soggettiva” e di
“fattispecie giuridica”7. In questa prima opera monografica, Cordero si mantiene – come
detto – sul piano di un rigoroso formalismo, distante da teleologismi o psicologismi che,
a suo avviso, inquinerebbero l’analisi delle elementari “situazioni soggettive” nelle quali è
scomporre il fenomeno processuale.
Egli si sente distante anche dagli autori che includono il “fine” della norma nell’analisi
del fenomeno giuridico-processuale: «alcune note classificazioni della dottrina germa-
nica nelle quali ogni aspetto di autentico rilievo giuridico si dissolve in un quadro descrit-
tivo vagamente funzionale e finalistico, rivelano, a prima vista un vizio metodologico da
cui risulta alquanto compromesso il loro rigore scientifico»8.
La distanza rispetto all’impostazione di Goldschmidt era ancora più marcata, per via
della coloritura sociologizzante che il fenomeno processuale assumeva nella visione del
giurista tedesco. Goldschmidt proiettava la sua “situazione giuridica” sullo sfondo rea-
smo processuale, in Riv. dir. proc. 1951, I, p. 1 ss. Tutto questo circa un quarto di secolo dopo aver stroncato il Prozess
als Rechtslage in una recensione dai toni piuttosto drastici: Il processo come situazione giuridica, in Riv. dir. proc. civ.
1927, p. 219 ss.
Più tardi, G. Foschini, nel suo Sistema del diritto processuale penale, Milano, 1965, vol, 1.º, p. 16 e p. 27, propone di su-
perare la dogmatica del “rapporto giuridico processuale, imperniando la sua visione del fenomeno processuale
su una concezione (assai personale) di “situazione giuridica”. Foschini cita e conosce Goldschmidt, ma non ne
sfrutta appieno la visione realistica: per lui sono situazioni giuridiche “l’essere giudice”, “l’essere imputato”, “l’es-
sere accusato” (ibidem, p. 28) e arriva persino a qualificarla come “statica, mentre per Goldschmidt la Rechtslage
è elemento per definizione dinamico, ricco di tensioni esistenziali (le aspettative di un risultato favorevole, la
minaccia di uno sfavorevole, il desiderio di affermare le proprie ragioni) che animano lo svolgimento processuale
e danno un senso al suo obiettivo finale (la sentenza).
5 Le situazioni soggettive, cit., p. 19 ss. e p. 224.
6 Le situazioni soggettive, cit., p. 19.
7 Nozione, questa, comune pressoché a tutti gli ambiti dell’esperienza giuridica e che può pertanto fungere da
“mattoncino teorico” anche per costruire con nuovi materiali l’”edificio processuale”. L’importanza del concetto di
fattispecie per la dottrina processualistica era stata già segnalata G. C     I 
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8 Le situazioni soggettive, cit., p. 14. A questo attacco reagirà – sentendosene coinvolto – F. C N 
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listico dei sentimenti che animano i contendenti: aspettative di riuscita, rischio della
perdita di talune chances, incertezza dello svolgimento procedurale e del risultato finale.
Il processo giudiziario concepito come agone, con importanti ripercussioni sul modo di
intendere il diritto processuale anche nei suoi rapporti con la politica, giacché spetta a
quest’ultima fornire gli schemi normativi dei ruoli e delle funzioni che i singoli soggetti
sono chiamati a interpretare. Non da un metafisico “rapporto giuridico-processuale”,
cadenzato sulla struttura di un rapporto negoziale, bensì da consapevoli scelte politi-
co-legislative discendono – secondo Goldschmidt – le situazioni di dovere e di potere che
innervano il processo. L’organizzazione della giustizia (specialmente quella penale) e la
regolamentazione delle funzioni processuali ricapitolano i rapporti di potere interni alla
socie.
Pur diffidando del concetto goldschmidtiano di “situazione giuridica”, Cordero è
attratto da questo approccio, del quale condivide la potente carica iconoclasta rispetto al
tradizionale schema concettuale del “rapporto giuridico processuale”, tipico del tecnici-
smo giuridico di origine pandettistica, patrocinato in Italia dalla scuola di Giuseppe Chio-
venda.
Mettere “le situazioni soggettive” al centro del discorso rendeva più facile condurre
una critica politica dell’assetto normativo esistente. Lo si noterà negli sviluppi successivi
del pensiero di Cordero. Anche qui verrà in soccorso Goldschmidt e, in particolare, quel
passaggio della prefazione al Prozess als Rechtslage dove riconosceva che “la critica del pen-
siero processuale mi si è quasi inavvertitamente trasformata in una critica del pensiero
politico”9; per trarne poi traeva la conclusione che “il diritto processuale cresce sul ter-
reno del liberalismo o non è tale”10. In quanto meccanismo volto a creare – con le sentenze
– norme singolari e concrete, il processo giudiziario deve essere regolato in maniera da
assicurare l’eguaglianza e la democratica partecipazione fra le parti. Esso attua un ordina-
mento parallelo e solo tendenzialmente coerente con quello legislativo, volto alla produ-
zione di norme generali e astratte.
Cordero non accetta fino in fondo questa apertura alla creatività giurisprudenziale,
ma recepisce da Goldschmidt l’idea che il processo giudiziario dev’essere politicamente
orientato in senso liberale e democratico. Altrimenti è uso arbitrario del potere sotto false
sembianze giudiziarie.
9 So ist unter der Hand die Kritik des prozessualen Denkens zu einer Kritik des politischen Denkens geworden, in Vorwort a
Prozess als Rechtslage, p. V.
10 Das Prozessrecht kann nur auf dem Boden des Liberalismus oder es kann gar nicht gedeihen, in Vorwort, cit. p. V. Pur criti-
candola (dal suo punto vista ancora ispirato a un rigido formalismo), C    
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Come molte opere redatte in vista di un concorso accademico, la monografia su Le
situazioni soggettive non sortisce effetti immediati nel dibattito dottrinale. Della sua
importanza ci si renderà conto negli anni successivi, quando Franco Cordero, liberandosi
dal rigido approccio formalistico (eppur innovativo) della sua monografia giovanile, pren-
derà posizione sui punti più delicati della procedura penale italiana, servendosi con mag-
gior realismo delle categorie concettuali messe a punto in quell’impegnativo lavoro.
3. L’incontro con Carnelutti e l’impegno per la riforma del processo penale. – L’occasione per
cimentarsi con i temi e le questioni più controversi e dibattuti di quel periodo si offrì a
Cordero all’inizio degli anni Sessanta, quando Francesco Carnelutti lo chiamò a far parte
della commissione ministeriale da lui presideduta e istituita col compito di progettare la
riforma del processo penale11. L’incontro con il vecchio professore (ultraottantenne), avvo-
cato celebratissimo, devessere stato galvanizzante per il giovane Franco Cordero, poco
più che trentenne e all’epoca pressoché sconosciuto, approdato nel 1960 alla cattedra di
Procedura penale dell’Università Cattolica di Milano.
Lo si capisce dalla convinzione con la quale il giovane studioso difenderà il “progetto
Carnelutti” in due dibattiti rimasti celebri e tuttora molto citati nella letteratura proces-
sualpenalistica: alludo ai convegni svoltisi entrambi nel 1964, uno nel Sud Italia (Lecce) e
l’altro al Nord (Bellagio). In quelle due occasioni, in perfetta sintonia con la radicalità della
proposta carneluttiana, Cordero diede davvero il meglio di sé, sostenendo con ottimi argo-
menti la necessità di superare il processo di impronta inquisitoria allora vigente in Italia12.
La proposta di Carnelutti prevedeva l’abolizione del giudice istruttore, la conseguente
soppressione della fase istruttoria e la sua sostituzione con una “inchiesta di parte” con-
dotta dal pubblico ministero. Tale fase iniziale del processo era finalizzata non più “all’ac-
certamento della verità”, bensì, più modestamente, alla individuazione e al reperimento
di mezzi di prova da formare e acquisire davanti al giudice del dibattimento, volutamente
tenuto all’oscuro delle conoscenze acquisite dalla polizia e dal pubblico ministero. Negli
interventi ai citati convegni Cordero immagina e analizza minuziosamente tutti i pro-
blemi che l’attuazione di quel rivoluzionario progetto avrebbe comportato. È impressio-
nante constatare oggi, a molti anni dalla riforma processuale del 1988, quanto fossero
azzeccate quelle previsioni. Vi troviamo lucidamente espressi, ad esempio, il timore che il
11 Le vicende della Commissione Carnelutti e l’importanza dei suoi esiti sono illustrati in R. O D
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12 Gli interventi di questi importanti convegni sono pubblicati nel volume Criteri direttivi per una riforma del pro-
cesso penale, Milano, Giuffrè, 1965, poi confluiti nel volume Ideologie del processo penale, Milano, Giuffrè 1966,
p.151ss.
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pubblico ministero incaricato dell’inchiesta di parte assuma funzioni istruttorie simili a
quelle del giudice istruttore; il timore che l’uso di dichiarazioni verbalizzate dalla polizia
o dal pubblico ministero possano trasformarsi in prove se utilizzate a fini di contesta-
zione nell’esame testimoniale; la proposta di introdurre l’incidente probatorio (una “oasi
giurisdizionale”) per superare il problema delle prove che rischiano di andar disperse
nel corso della fase investigativa; e ancora, la proposta di contrastare le possibili inerzie
del pubblico ministero attribuendo alla persona offesa la facoltà di opporsi alla richiesta
di archiviazione. Chi ha una conoscenza anche approssimativa delle vicende che hanno
accompagnato l’applicazione del codice vigente è in grado di apprezzare la fondatezza di
quei timori e la sensatezza di quelle proposte espressi con un quarto di secolo danticipo
sulla riforma processuale.
4. I tre studi sulle prove penali. – Grande impatto sulla dottrina processuale penale italiana
hanno avuto le riflessioni di Franco Cordero in tema di diritto probatorio. Alludo in parti-
colare ad alcuni scritti comparsi su varie riviste fra il 1961 e il 1963 e raccolti nel volume dal
titolo Tre studi sulle prove penali (Milano, Giuffrè, 1963) e nel successivo Ideologie del processo
penale (Milano, Giuffré, 1965).
Nel primo dei due volumi, la prova è analizzata come atto complesso (procedimento)
scomposto nei tre movimenti della ammissione/acquisizione, formazione e valutazione.
Ispirandosi al noto saggio di Carnelutti sulla Prova civile (Roma, Athenaeum, 1915), Cordero
offre in quel corposo saggio una breve trattazione generale della prova penale.
Si avverte anche qui l’influsso di Goldschmidt. Cordero accetta la tesi del processuali-
sta tedesco che postula l’autonomia del diritto processuale rispetto al diritto sostanziale.
I fenomeni del processo animano un mondo chiuso, con regole proprie (ammissibilità,
fondatezza, rilevanza, validità etc.) insensibili alle vicende del diritto sostanziale e ai
rispettivi criteri di valutazione (lecito/illecito). Ne segue che il diritto processuale esige
un approccio suo proprio da parte dello studioso (quella che Goldschmidt definisce prozes-
suale Rechtsbetrachtungsweise).
Sulla base di queste premesse, viene impostato il controverso problema della prova
illecitamente acquisita. L’illiceità della provenienza non comporta di per sé l’inammissibi-
lità o inutilizzabilità del corpo del reato o della cosa pertinente al reato: solo la legge pro-
cessuale può abbinare una sanzione di invalidità a quella provenienza illecita. Se la legge
processuale tace, la prova può essere utilizzata, benché frutto di un illecito. Come noto, il
problema è stato a lungo dibattuto con riferimento al rapporto fra perquisizione e seque-
stro. L’illegittimità della perquisizione non comporta l’esclusione della cosa sequestrata
dal novero delle prove valide, salvo che la legge vieti esplicitamente il sequestro, come
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accade, ad esempio, con i documenti coperti da segreto (art. 200 c.p.p.); quelli depositati
nello studio del difensore (art. 103 comma 6 c.p.p.) o con le attività di “dossieraggio” (art.
240 comma 2 c.p.p.). Risulta decisiva la latitudine del potere istruttorio assegnato al magi-
strato che compie l’indagine, non i più limitati poteri assegnati alla polizia. La perquisi-
zione si qualifica come semplice antecedente storico (non giuridico) del sequestro; la sua
illegittimità comporterà la mancata convalida giudiziale dell’operazione effettuata dalla
polizia oltre alla possibile sanzione (penale o disciplinare di chi ha agito illecitamente), ma
non la restituzione della cosa sequestrata che il giudice potrà quindi utilizzare. Male cap-
tum, bene retentum è la formula13 che sintetizza un orientamento seguito (ancor oggi) dalla
giurisprudenza della Corte di cassazione italiana.
5. Il manuale di Procedura penale. – La maturazione del pensiero processualistico di Cordero
trova la sua compiuta realizzazione nel manuale di Procedura penale pubblicato per la
prima volta nel 1966. Un’opera che – si può dire – apre una nuova stagione nella cultura
processuale penale italiana. Cordero stesso definirà quel manuale un’opera “atipica”: «la
novità sta nell’esservi disegnata una sintassi»14.
I manuali in circolazione all’epoca erano redatti con stile piatto e acritico: orientati
al metodo tecnico-giuridico, avevano un’impostazione prevalentemente esegetica, tutta
incentrata su principi dottrinali calati come assiomi da accettare supinamente. Erano
pensati per un apprendimento nozionistico; non inducevano riflessioni sui nodi politici e
sui conflitti ideologici implicati nelle pratiche giudiziarie e nei relativi istituti.
Ben diverso si presentava il manuale di Cordero. Lo si capiva già dalla copertina. Anche
la quarta edizione (1977 quella sulla quale ho preparato l’esame di Procedura penale nel lon-
tano 1978) raffigurava in una sovracopertina il frontespizio della Practica causarum crimi-
nalium (Averolda nuncupata) di Ippolito Marsili15. In quella stampa cinquecentesca (allegata
in calce a questo scritto) si scorgono, in centro, strumenti e scene di tortura; in basso, scene
di vita accademica con il professore in cattedra e gli studenti in diligente ascolto. In alto e
sui lati, simboli del potere politico, sfilate di alti prelati, scene di guerre navali e campali.
La vista della copertina appariva molto promettente e, in effetti, una volta aperto, quel
manuale apriva un mondo che nessuno – fra i processualisti italiani – aveva mai prima
esplorato con tale sapienza e acume. Gli istituti processuali erano analizzati in prospettiva
storica; studiati con l’occhio critico del filosofo del linguaggio; rimeditati in chiave poli-
13 Criticamente recensita da CARNELUTTI in Rivista di diritto processuale, 1963, p. 625.
14 Rutulia, cit. p. 237.
15 Capostipite dei penalisti moderni, chiamato sulla cattedra di Ius criminale istituita per lui a Bologna nel 1509.
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Franco cordero e le dottrine del processo penale
Franco cordero and the doctrines of the criminal process
RENZO ORLANDI
GALILEU · e‑ISSN 2184‑1845 · Volume XXIII · Issue Fascículo 1‑2 · 1st January Janeiro – 31st December Dezembro 2022 · pp. 23‑38
tica; criticati per il substrato ideologico che nella pratica li reggeva. Siamo distanti dalla
visione formalistica che caratterizzava le Situazioni soggettive.
All’inizio, quell’opera “atipica” desta reazioni poco favorevoli negli ambienti paludati
dell’accademia: «l’establishment l’accoglie a denti stretti – confessa Cordero – ma pratici colti
l’adoperano». Proprio così. I magistrati e gli avvocati migliori notano la straordinaria qua-
lità di quelle pagine. Alcuni docenti lo adottano come libro di testo nei loro corsi. Migliaia
di studenti sono attratti dalla prosa colta, dai riferimenti storici e filosofici, dall’uso
impeccabile dell’arnese interpretativo. In pochi anni, diventerà una lettura obbligata per
tutti coloro che intendono occuparsi di procedura penale.
Il vero valore dell’opera sta nel taglio critico che caratterizza ogni sua pagina. Lautore
non si limita a descrivere gli istituti e le pratiche della procedura. Ne esamina l’origine,
la ragion d’essere, la pratica applicazione alla luce di quelle che lui stesso definisce “leggi
naturali del processo”16.
Niente a che vedere con premesse giusnaturaliste. Ogni strumento – sostiene l’Autore
– ha sue proprie leggi. Nel caso del processo giudiziario, occorre individuare quelle adatte
a produrre decisioni giuste, senza ledere, oltre il necessario, la dignità delle persone che
vi sono coinvolte. I postulati sono pochi e semplici: giudice indipendente e imparziale;
struttura triadica dell’agone giudiziario.
Da questi, discendono, a mo’ di corollario, le regole adatte a regolare lo svolgimento
procedurale. I “principi naturali” appartengono all’essenza logica del processo (giusto) e
sono anteposti agli stessi principi costituzionali.
Si avverte anche qui l’eco di James Goldschmidt e della già segnalata opzione politi-
co-culturale ben evidenziata nella prefazione al suo Prozess als Rechtslage: il diritto proces-
suale può prosperare solo sul terreno del liberalismo democratico. Vale la pena ribadirlo:
trattandosi di un dispositivo atto a produrre norme (singolari e concrete) sulla scorta delle
norme (generali ed astratte) confezionate dal legislatore, il processo va strutturato in
modo da assicurare il contraddittorio fra le parti, affinché queste possano accettarne l’e-
sito. I contesti politici (autoritari o dispotici) che negano il contraddittorio non favoriscono
un autentico diritto processuale, ma semmai una Kabinettsjustiz, vale a dire una giustizia
penale dispoticamente influenzata dal potente di turno: una penalità “amministrativiz-
zata” che non meriterebbe l’appellativo di “giurisdizionale”, anche se ad amministrarla
fosse chiamato chi pretende di essere chiamato “giudice”. Di qui le battaglie che – spe-
cialmente nella prima metà degli anni Sessanta – Cordero si era impegnato a combattere
16 Cfr. Procedura penale, Milano, Giuffrè, 1977, IV edizione, p. 23-24 e già prima, nel saggio L’istruzione sommaria nel
conflitto fra le due Corti, in Jus 1965, p. 275, nonché in Ideologie del processo penale, Milano, Giuffrè, 1966, p. 3 e p. 28.
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contro le incrostazioni autoritarie e inquisitorie del processo penale italiano, contro l’am-
bigua figura del giudice istruttore (giudice accusatore) e contro l’ancora più compromet-
tente figura dell’accusatore giudice (pubblico ministero-istruttore)17.
Il manuale di Franco Cordero è impregnato dalla prima all’ultima pagina di questo
spirito militante. Esso avrà una diffusione ampia e prolungata nel tempo. L’edizione del
1966 sarà seguita da altre 8 edizioni nei venti anni successivi.
Dopo la riforma processuale del 1988 l’autore riscriverà il suo manuale, del quale usci-
ranno ben 9 edizioni nei venticinque anni successivi.
In totale, 18 edizioni sulle quali si sono formate almeno quattro generazioni di studiosi
del processo penale. Bastano questi numeri a dare un’idea dell’influsso davvero straordi-
nario che Franco Cordero ha avuto sulla dottrina processualpenalistica italiana soprat-
tutto nella seconda metà del secolo scorso.
Dal punto di vista, per così dire, dogmatico, credo che il culmine del pensiero proces-
sualistico di Cordero sia tutto racchiuso nella edizione del 1966. Le edizioni successive ten-
gono conto delle evoluzioni normative e giurisprudenziali, sviluppando idee, intuizioni,
posizioni, già maturate in quella prima edizione.
Si può quindi dire che con il manuale del 1966 si conclude quella fase iniziata dieci anni
prima (con la monografia sulle Situazioni soggettive) dedicata allo studio e all’affinamento
delle categorie concettuali del diritto processuale penale.
Lavventura intellettuale di Cordero continuerà negli anni successivi, ma avrà ad
oggetto altre sfide, altri interessi di carattere storico, filosofico, letterario, politico. Sempre
legati, in maniera diretta o indiretta, ai temi della giustizia penale o ad accadimenti che
hanno caratterizzato la sua singolare biografia.
6. Altre sfide. – Dopo la pubblicazione del manuale (edizione 1966) Franco Cordero allenta
il suo interesse per la Procedura penale come disciplina accademica. Diventano rari i suoi
interventi sia nei convegni sia sulle riviste penali.
Insieme con Giovanni Conso e Giandomenico Pisapia figura tra i fondatori della Asso-
ciazione fra gli studiosi del processo penale (Ferrara, maggio 1985), ma non spende energia
nella nuova creatura.
Non è chiara la ragione di questo suo distanziamento dalla comunità scientifica dei
processualisti. Forse, a spiegarla contribuisce l’incidente che lo vede protagonista verso la
fine degli anni Sessanta e che vale la pena brevemente illustrare.
17 «A screditare il processo inquisitorio è sufficiente rilevare come sia un mezzo contro natura»: Procedura penale,
cit., p. 5.
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Dal 1962, all’insegnamento di Procedura penale presso l’Università Cattolica di Milano,
si era aggiunto, per affidamento, quello di Filosofia del diritto: disciplina, questa, delicata
e rischiosa in una Università confessionale. Nel 1967, pubblica un manuale da adottare in
quel corso (Gli Osservanti. Fenomenologia delle norme, Milano, Giuffrè) dove tratta temi spi-
nosi: origine delle norme giuridiche, idee di giustizia, dogmi religiosi etc. Ogni tema viene
sondato con spirito spiccatamente laico, avvalendosi delle conoscenze teologiche, filolo-
giche, antropologiche, filosofiche, giuridiche attinte dalla sua straordinaria erudizione.
Il contesto dell’epoca poteva sembrare propizio per una simile, ardita operazione cultu-
rale. Si erano da poco conclusi i lavori del Concilio Vaticano 2.º (dicembre 1966). La Chiesa
sembrava aperta al confronto con altre fedi religiose, in particolare con la cultura prote-
stante. Ma certe chiusure restano. La gerarchia cattolica (a partire dall’allora cardinale di
Milano) censura quel manuale troppo orientato in senso laico e materialista. Non solo:
nega al prof. Cordero il nihil obstat necessario per esercitare la docenza in quella Univer-
sità. Ne nasce una causa giudiziaria che si trascinerà per quattro anni e finirà davanti alla
Corte costituzionale. Messa di fronte al quesito se sia legittima una norma del Concordato
fra Italia e Santa Sede che permette di licenziare il docente per le opinioni professate nella
sua attività di insegnamento, la Corte dà ragione all’Università milanese, sul presupposto
che le Università religiose possono pretendere l’adesione ai principi confessionali che ne
caratterizzano la formula educativa: la libertà di insegnamento deve recedere di fronte
alla necessità di salvaguardare le finalità religiose dell’ente accademico. Franco Cordero
mantiene la cattedra (è inamovibile), ma non potrà più insegnare nell’Università cattolica.
Lascerà Milano nel 1974 per trasferirsi a Torino dove insegnerà Procedura penale fino al
1976. Nel 1977 sarà chiamato a Roma-La Sapienza, dove insegnerà la stessa disciplina fino
al suo pensionamento nel 2003.
È immaginabile che quell’incidente di percorso abbia indotto Cordero a seguire altre
passioni intellettuali e coltivare interessi diversi da quelli strettamente processualpenali-
stici. Sta di fatto, come detto, che la sua produzione bibliografica subisce una secca devia-
zione proprio a partire dalla fine degli anni Sessanta (come risulta dall’elenco di pubblica-
zioni qui sotto allegato).
Nel Sistema negato (1969) ripercorre la polemica fra Erasmo e Lutero su libero e servo
arbitrio.
In Risposta a Monsignore (1970) replica con sarcastico puntiglio alla lettera che mons.
Carlo Colombo, allora direttore dell’ente gestore dell’Università Cattolica, gli aveva inviato
per censurare Gli Osservanti, aspettandosi, se non una ritrattazione, quanto meno un ripen-
samento di talune tesi avanzate in quel libro che sfidava l’ortodossia religiosa vigente.
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Nella Epistola ai Romani: antropologia del cristianesimo paolino (1972), commenta un fon-
damentale testo neo-testamentario, caro alla cultura protestante.
Come si vede, si tiene alla larga da tematiche processuali penali che avevano assorbito
le sue energie nel decennio 1956/66 e questo benché in quel periodo (prima metà degli anni
Settanta del secolo scorso) il dibattito sulla riforma del processo penale fosse molto vivace,
in Italia. Ma Cordero è pressoché assente.
Negli anni Settanta pubblica romanzi, talvolta a sfondo autobiografico, scegliendo
temi che gli consentano di proseguire in forme diverse il suo impegno civile e di denun-
cia delle storture derivanti di un uso dispotico del potere del quale ha avuto esperienza
diretta.
Si appassiona poi (anni Ottanta) alla storia del diritto (Riti e sapienza del diritto, 1981) e
dei sistemi penali in particolare (La fabbrica della peste, 1984; Criminalia, 1985; pubblica una
corposa biografia su Savonarola, in quattro volumi, 1986-1988).
Poi, un lungo silenzio, intervallato dalle nuove edizioni aggiornate della sua Procedura
penale, che, come detto, sarà interamente riscritta dopo la riforma del codice 1989) e ripub-
blicata più volte, ma senza la sovra-copertina con la stampa cinquecentesca tratta da Ippo-
lito Marsili.
Torna sorprendentemente in campo verso la fine del 2001 (19 dicembre) con un articolo
pubblicato sul giornale La Repubblica dal titolo Lezione impolitica sulla nostra giustizia. L’occa-
sione è data da un colpo di mano legislativo che introduce un discutibile divieto probatorio
nella disciplina delle rogatorie internazionali (Legge 5 ottobre 2001, n. 367). Su quel divieto
gravava il sospetto di essere stato imposto per favorire – in extremis – un amico dell’al-
lora presidente del Consiglio imputato di corruzione giudiziaria. Cordero vi intravvede
un segno di arroganza del potere e non esita a schierarsi al fianco dei magistrati milanesi,
inflessibili nell’acquisire comunque le prove che la legge intendeva vietare.
Sarà questo il primo scritto di una vasta produzione letteraria durata circa quindici
anni, fatta di articoli su quotidiani e relazioni in pubblico18. Ora se la prende con il vizio
della classe politica di ostacolare con iniziative pseudo-garantiste il lavoro della magistra-
tura penale, particolarmente attiva sul fronte della corruzione politica.
È questa la fase del Cordero pamphlettista, animato da un forte sentimento di intran-
sigenza morale, che – con linguaggio schietto e con arditi paralleli storici – denuncia l’uso
18 Articoli e interventi raccolti in una serie di volumi: Le strane regole del signor B., Milano, Garzanti, 2003; Nere lune
d’Italia: segnali da un anno dicile, Milano, Garzanti. 2004; Fiabe d’entropia: l’uomo, Dio, il diavolo, Milano, Garzanti.
2005; Aspettando la cometa: notizie e ipotesi sul climaterio d’Italia, Torino, Bollati Boringhieri, 2008; Il brodo delle un-
dici: l’Italia nel nodo scorsoio, Bollati Boringhieri. 2010; Lopera italiana da due soldi: regnava Berlusconi, Torino, Bollati
Boringhieri. 2012;
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disinvolto e arrogante dell’uomo di potere, incline all’uso pretestuoso di argomenti garan-
tisti per assicurarsi l’impunità.
Si ha, a prima vista, l’impressione che il Cordero pamphlettista, difensore delle inchie-
ste giudiziarie, implacabile censore dei vizi pubblici e delle intemperanze di una classe
politica corrotta, sia in contraddizione con lo studioso che, negli anni Sessanta del secolo
scorso, denunciava, sibilando parole altrettanto schiette, le tare inquisitorie della giusti-
zia penale italiana. In realtà, c’è una grande coerenza nella sua lunga avventura intellet-
tuale. Al centro delle sue battaglie c’è sempre stata una manifesta insofferenza per l’uso
impunito e dispotico del potere: non importa che si tratti di potere giudiziario, fondato su
pratiche inquisitorie; di potere religioso, fondato sulla difesa ad oltranza di indiscutibili
ortodossie; di potere politico, fondato su un malinteso senso dell’investitura popolare; di
potere economico, che accentua le diseguaglianze sociali, assoggettando ai propri inte-
ressi anche l’amministrazione della cosa pubblica.
Ogni potere, non solo quello giudiziario, rischia derive personalistiche e tiranniche,
nella misura in cui chi lo esercita si lascia sopraffare da impulsi primordiali. Insegna Sig-
mund Freud – più volte evocato a questo riguardo da Cordero19 – che nei territori dell’ES,
bestia extra tempora indifferente al trascorrere del tempo”, regno di pulsioni individuali
dominate dal principio del piacere, sono all’opera istinti primitivi insensibili a principi
razionali o a freni morali. Uomini fra gli uomini, anche i potenti di ogni risma (non solo
i magistrati) mal sopportano il “disagio della civiltà”. Franco Cordero “umanista etero-
dosso”, giurista militante” si è assunto il faticoso compito di censurare ogni uso smodato
del potere.
7. Cosa ci resta? – Franco Cordero lascia agli studiosi del processo penale un’eredità impor-
tante, che non va dissipata. Certo, bisogna riconoscere che la sua monografia giovanile
sulle Situazioni soggettive appare oggi superata, anche perché scritta in un linguaggio ricco
di astrazioni, che sfida le capacità di comprensione delle generazioni di ricercatori ora in
attività. Occorre però essere consapevoli che – per la dottrina processualpenalistica – quel
testo ha reso possibile l’emancipazione dalla tradizionale (e inadeguata) teorica del “rap-
porto giuridico processuale”. Impostazione cara agli esponenti del tecnicismo giuridico,
che impediva di analizzare il fenomeno processuale come campo di forze dove si scon-
trano interessi terribilmente concreti.
19 Ad esempio, in Morbo italico, cit., p. 67 e p. 169.
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Quanto le riflessioni teoriche contenute in quel primo sforzo monografico siano risul-
tate proficue per la scienza processualistica lo si comprende dagli studi successivi del
nostro Autore.
Gli scritti sulle prove risalenti ai primi anni Sessanta sono quanto di meglio si possa
ancor oggi trovare su questo difficile tema.
Gli interventi sulla riforma processuale penale nei convegni di Lecce e Bellagio (1964),
ai quali si è in precedenza accennato, offrono anche al giovane studioso odierno una quan-
tità di spunti e osservazioni di straordinario acume per la sorprendente lungimiranza che
li caratterizza.
Il manuale (a partire dalla edizione del 1966) costituisce un modello tuttora insuperato
di esposizione critica delle norme processuali penali, con un sapiente uso della compara-
zione storica messa al servizio della comprensione degli istituti volta a volta esaminati.
Unopera ormai appartenente al novero dei “classici”: destinata a durare nel tempo e a for-
nire illuminanti indicazioni (anche di metodo), anche quando le norme delle quali si parla
non siano più in vigore.
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Opere principali di Franco Cordero (elenco limitato ai soli libri)
Procedura penale
Le situazioni soggettive nel processo penale: studi sulle dottrine generali del processo penale, Torino,
Giappichelli, 1956; Contributo allo studio dell’amnistia nel processo, Milano, Giuffrè, 1957; Il
giudizio d’onore, Milano, Giuffré, 1959; Tre studi sulle prove penali, Milano, Giuffrè, 1963; Ideo-
logie del processo penale, Milano, Giuffrè, 1965; Procedura penale, 1966, Milano, Giuffrè, 1966
(18 edizioni complessive in un arco temporale di quasi cinquant’anni: l’ultima datata 2012)
Filosofia del diritto
Gli osservanti. Fenomenologia delle norme, Milano, Giuffrè, 1967; Il sistema negato: Lutero contro
Erasmo, Bari, De Donato. 1969; Risposta a Monsignore, Bari, De
Donato,1970; L’Epistola ai Romani: antropologia del cristianesimo paolino, Torino, Einaudi, 1972
Storia del diritto
Riti e sapienza del diritto, Bari, Laterza, 1981; La fabbrica della peste, Roma-Bari, Laterza. 1984;
Criminalia: nascita dei sistemi penali, Roma-Bari, Laterza. 1985; Cronaca d’una stregoneria
moderna, Roma-Bari, Laterza. 1985; Savonarola, 4 volumi, Roma-Bari, Laterza, 1986-1988;
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Romanzi
Genus, Torino, Einaudi, 1970; Le masche, Milano, Rizzoli, 1971; Opus, Torino, Einaudi, 1972;
Pavana, Torino, Einaudi,1973; Viene il Re, Milano, Bompiani, 1973; L’opera,
Milano, Bompiani. 1975; Passi d’arme, Torino, Einaudi. 1979; Larmatura, Milano, Garzanti.
2007; La tredicesima cattedra, Milano, La Nave di Teseo, 2020
Pamphlettistica
Le strane regole del signor B., Milano, Garzanti, 2003; Nere lune d’Italia: segnali da un anno di-
cile, Milano, Garzanti. 2004; Fiabe d’entropia: l’uomo, Dio, il diavolo, Milano, Garzanti. 2005;
Aspettando la cometa: notizie e ipotesi sul climaterio d’Italia, Torino, Bollati Boringhieri, 2008; Il
brodo delle undici: l’Italia nel nodo scorsoio, Bollati
Boringhieri. 2010; Lopera italiana da due soldi: regnava Berlusconi, Torino : Bollati
Boringhieri. 2012; Morbo italico, Bari-Roma, Laterza. 2013; Rutulia, Macerata,
Quodlibet, 2016; Bellum civile, Macerata, Quodlibet,. 2017
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